Roubaix, Una Luce
Diretto e sceneggiato da Arnaud Desplechin, Roubaix, una luce racconta di come a Roubaix, una notte di Natale, il commissario Daoud si ritrovi a indagare insieme a Louis Coterelle, fresco di diploma e appena arrivato alla stazione di polizia, sull'omicidio di un'anziana signora. Tra auto bruciate, alterchi e situazioni varie che da sempre caratterizzano la cittadina, i due interrogano due giovani donne, Claude e Marie, povere, alcolizzate e innamorate.
Roubaix, una luce
Con la direzione della fotografia di Irina Lubtchansky, le scenografie di Toma Baqueni, i costumi di Nathalie Raoul e le musiche originali di Grégoire Hetzel, Roubaix, una luce trae ispirazione dal documentario Roubaix, commissariat central in cui il regista Mosco Boucault ha filmato i tanti misteri di una stazione di polizia (e quelli dell'animo umano). A spiegare la genesi del progetto è lo stesso regista in occasione della partecipazione del film al Festival di Cannes 2019: "Ho sempre rifiutato di raccontare nel mio cinema la realtà del mondo circostante. Quasi tutti i miei film sono stati romantici. E anche troppo. E quel troppo è ciò che desideravo veramente. Era dunque arrivato per me il momento di una svolta: volevo raccontare un film che da sotto tutti i punti di vista aderisse al reale. Per tale ragione, come già esplicito nel prologo, non ho inventato nulla. Ho messo da parte la fantasia e ho rielaborato le immagine chi che avevo visto in televisione una decina di anni prima, immagini che hanno continuato a perseguitarmi negli anni. Perché non ho mai dimenticato quelle immagini? Di solito riesco a identificarmi con le vittime, non mi piacciono gli assassini ma, per la prima e unica volta nella mia vita, ho solidarizzato con due criminali che ho scoperto essere due sorelle. Ho voluto riconsiderare le parole crude delle vittime e delle colpevoli come la più pura delle poesie. Vi ho intravisto una sorta di materiale sacro, un testo che non si finisce mai di interpretare: lo spettatore non potrà non avere le vertigini davanti al senso di colpa e all'infanzia delle due disgraziate. Riscrivendo e sistemando il tutto, ho pensato ogni giorno a Delitto e castigo. I tormenti di Raskolnikov sono uguali a quelli delle due disgraziate che ho voluto per protagoniste".
"Ciò che più di ogni cosa mi ha colpito - ha proseguito Desplechin - sono stati allora i volti delle donne implicate nel caso. La vecchia Lucette, la giovane violentata, l'amica che l'accompagna, la giovane fuggitiva e infine le due assassine mi hanno condotto in una spirale di terrore. La vita nella stazione di polizia di Roubaix forniva un ritratto fortemente incompleto della condizione femminile. Nel realizzare Roubaix, una luce ho avuto un solo modello cinematografico di riferimento: Il ladro di Alfred Hitchcock e il forte realismo di cui è pregno".
Una città , le sue luci, le sue ombre, un commissario di polizia, un omicidio. Un polar. Roubaix, una luce è un polar. E basta. Un film di genere puro attraverso il quale Arnaud Desplechin rimette in gioco tutto il suo cinema. Magistralmente.
Il film affonda le radici in un fatto di cronaca avvenuto a Roubaix nel 2002 e si ispira al documentario per la televisione (Roubaix, Commissariat central). Attraverso il suo personaggio, lontano dagli stereotipi del poliziotto al cinema, e alle sue deambulazioni notturne, il regista fa un ritratto di Roubaix, la città dove è nato, cresciuto e ha girato tre dei suoi film (Racconto di Natale, I miei giorni più belli, I fantasmi d'Ismael). Noir con la luce nel titolo originale, Roubaix, une lumiére, reintegra il suo cinema col sociale, fuggito a gambe levate per i libri, le lettere, i fantasmi. Il film dispiega una straordinaria rete di relazioni tra gli elementi del quotidiano, osservati in tutta la loro triviale materialità . Al debutto dispone i frammenti di vita di una città del nord della Francia, depauperata all'estremo, dove crimini e delitti prosperano, poi, progressivamente, quella circolazione caotica di frammenti (una rissa, un tentativo di frode all'assicurazione, una fuga, uno stupro, un incendio volontario) si allinea e cristallizza intorno all'assassinio di una donna. Dopo aver messo insieme brani di informazioni e di emozione, di comprensione del funzionamento della città e della polizia chiamata a tenerne l'ordine, il film infila una lunga traiettoria investigativa ostinatamente decisa a emergere la verità sul delitto commesso sul fondo di una corte miserabile. (Marzia Gandolfi, Mymovies.it)
Un agente alla sua prima indagine che non riesce a risolvere il caso e un commissario navigato, che si destreggia ogni giorno tra criminali, aggressori e truffatori. Sono i protagonisti di Roubaix, una luce nell'ombra, un film in cui il contesto è centrale, tanto da dare il titolo all'opera.
Sullo schermo sfilano personaggi che vivono una quotidianità fatta di miseria, violenza, soprusi quotidiani. Chi gira il film è ben consapevole di ciò che racconta: Roubaix è la città natale del regista Arnaud Desplechin, che l'ha già raccontata anche in opere precedenti come Les fantmes d'Ismal e 3 Souvenirs de ma jeunesse. Questa volta utilizza l'attore Roschdy Zem, nei panni del commissario Daoud, per dare voce al proprio attaccamento alla città (i suoi familiari sono andati altrove, lui ha scelto di restare, malgrado tutto) e per fare luce su un caso, tra i tanti, ispirato a una storia vera. Non è l'unico che il film affronta, ma è quello a cui si dà maggiore spazio e, di fatto, quello più significativo nella storia.
Adattare un documentario alla finzione è piuttosto raro. Perché questa scelta e come ha lavorato alla sceneggiatura? È vero che è insolito, tranne che per Il ladro, appunto. Mi sono detto che se aveva funzionato per Hitchcock, avrei potuto farlo anche io. Poi nel documentario cui mi sono ispirato, ci sono molte cose diverse, specialmente il fatto che il commissario Daoud non è in contatto con le due ragazze. Quello che volevo filmare era Roschdy Zem che parlava con questi due personaggi, quindi ho dovuto trattare i fatti reali in quella luce. Come nei film di Melville, ad esempio Notte sulla città con Alain Delon, cosa sappiamo del personaggio principale? Niente, ma possiamo capire la sua anima attraverso ciascuna delle sue parole. Così ho cercato di ritrarre Daoud, senza accumulare troppi dettagli, con solo pochi elementi per disegnare il personaggio e cercare di andare più in profondità senza artifici. Ho cercato di essere piuttosto asciutto su questo punto perché sapevo che avrei avuto grandi attori le cui interpretazioni avrebbero illuminato questo personaggio meglio di quanto avrebbe fatto la sceneggiatura.
Per tutti questi motivi, Roubaix, una luce è il classico film che riesce ad elevarsi dal genere e a entrare nel merito di un discorso più ampio, se vogliamo sociale. Desplechin si conferma un autore che, quando riesce a mantenere la barra dritta, arriva al cuore della narrazione con una classe e uno stile che hanno pochi. In un periodo di magra come quello che stiamo vivendo nelle sale, assolutamente da non perdere.
Antonio SimeoliOra sarà lassù con quelle immancabili cartelline vergate a mano a pianificare stagioni sportive, grandi eventi, mostre, adunate degli alpini, soprattutto tappe del Giro d'Italia. A distribuire incarichi (non ordini, badate) come un generale che però si fa dare del tu dal soldato. Sì, Enzo Cainero, un gigante del Friuli per mezzo secolo, e gigante dobbiamo scriverlo rigorosamente con la G maiuscola, aveva un grande pregio, che era poi il segreto del suo successo: pianificare ogni cosa per il suo Friuli parlando e ascoltando alla stessa maniera il più alto rappresentante delle istituzioni e l'ultimo dei volontari che lo stava aiutando a organizzare una tappa del Giro d'Italia.Il manager di Cavalicco, commercialista, anche politico, soprattutto uomo di sport, è morto stamattina poco prima di mezzogiorno all'ospedale di Udine. Aveva 78 anni.Fatale, alla fine, è risultato il malore che lo aveva colto all'inizio di ottobre. Un'ischemia cerebrale dalla quale stava cercando di riprendersi ì con la forza di un leone, sospinto da una carica di affetto sconfinante con l'amore, che gli era arrivata da tutto il Friuli e non solo. Intravvedeva un po' di luce in fondo al tunnel, ve l'avevamo scritto a fine dicembre, era come Pantani al Giro del 1999 quando, dopo essersi attardato causa un incidente meccanico, sulla salita di Oropa prese a rimontare uno a uno tutti i corridori del gruppo, vincendo a braccia alzate. Il traguardo più bello per Enzo sarebbe stato a fine gennaio: tornare a casa al braccio della moglie Laura, che non l'ha lasciato un secondo in questi mesi di sofferenza, scortato dai figli Andrea e Marco. Il suo sogno, eccome se lo stava coltivando, era riuscire a salire in maggio sul Lussari, a gustarsi la tappa del Giro d'Italia, l'ultima sua creatura, l'ennesima della sua lunga e ricca "carriera". L'ultima volta che eravamo andati a fargli visita all'ospedale Gervasutta di Udine, dove stava cercando con determinazione la rimonta quando gli avevamo detto che al Lussari la gente lo aspettava, aveva ribattuto sorridendo: Salirò lassù, in moto con Orioli, come faceva sempre prima di ogni tappa. Ora, quella frazione decisiva del prossimo Giro d'Italia, diventerà anche un grande tributo a Cainero.Venerdì 20 gennaio le ultime videochiamate orchestrate dal fratello Eddy a tre grandi amici: Edy Reja, il capogruppo Ana di Cavalicco Franco Petrigh, Claudio Pasqualin e il direttore del Giro Mauro Vegni, che negli ultimi 20 anni lo ha sempre assecondato nelle avventure, spesso ardite, in chiave ciclistica.Raccontare i sopralluoghi in moto, prima di quelle tappe, vuol dire raccontare l'uomo Cainero. Scrutava ogni angolo di strada Enzo, si fermava a ogni incrocio e veniva fermato decine di volte, in ogni paesino, per un rinfresco o un brindisi. Non ne saltava uno, perché quella era la sua gente. Un saluto e via, affinché tutto fosse perfetto, affinché lo fosse l'immagine della sua terra. Da friulano vero.Figlio del mugnaio di Cavalicco, luogo d'origine di cui andava fiero, nel secondo dopoguerra Cainero cresce a pane e sport. Calcio in particolare. Carriera di tutto rispetto, fino al Varese, a un passo dalla serie A. Studiava e giocava in porta. Parava e studiava. Ultima stagione al Tolmezzo in Serie D poi il cameo nel Carnico, campione col Paluzza nel 1968: i più anziani rammentano ancora le sue gesta tra i pali, lui ricordava con orgoglio quell'ultima stagione vincente che, di fatto, era stata l'antipasto a quel che avrebbe combinato qualche anno dopo in Carnia. Dopo la laurea in Economia e commercio a Trieste, un master, chiamiamolo così, sul campo in Africa. Come tanti friulani all'epoca. Cantieri da aprire, esperienze da fare. Poi il ritorno in Friuli. Anni difficili per la tragedia del terremoto, ma anche affascinanti perché da quella tragedia bisognava rialzarsi. Legato indissolubilmente alla storia della Democrazia Cristiana, specie a Udine, Cainero è stato uno dei più grandi collaboratori e amici di Adriano Biasutti. Amico vero, quando l'ex presidente della Regione finì nella polvere di tangentopoli, ma soprattutto quando iniziò la lotta contro un male poi risultatogli fatale. Cainero non l'ha lasciato mai. Fino all'ultimo. Era un drago davanti ai bilanci di un'azienda il dottor Enzo. Grazie a un'intelligenza fuori dal comune cominciò a riscuotere valanghe di successi. All'inizio degli anni Ottanta, inevitabile il sodalizio con una delle più grandi aziende friulane, la Fantoni di Osoppo. Ma definire sodalizio quello con gli imprenditori gemonesi è riduttivo. Per il capitano d'industria Marco, dagli anni difficili del post terremoto Cainero è stato una spalla preziosa, per i figli Giovanni e Paolo una sorta di fratello aggiunto. Ci torneremo alla Fantoni, perché uno come Cainero non poteva mancare nell'anno simbolo dei successi friulani nello sport mondiale, quello di Zico. Correva l'anno 1983, il commercialista era nel collegio dei revisori di conti dell'Udinese calcio di Mazza, quasi inevitabile, visti i suo trascorsi su un campo da calcio, il passaggio in "panchina" come team manager dei bianconeri nella stagione del Galinho. Inevitabile pure la nascita di un'amicizia indissolubile con Gigi De Agostini, Paolo Miano o Attilio Tesser, per il quale fino a quel maledetto malore di ottobre, era una sorta di "senior assistant" del basket, anche nelle ultime esperienza in panchina. Già , la pallacanestro. Fantoni basket, ci aveva detto al Gervasutta, quando stava cercando la rimonta "stile Oropa", con quegli occhi che s'illuminavano.Perché il basket udinese era alla canna del gas, squadra in bolletta, proprietari cercansi, solite storie insomma. Cainero s'impegnò a salvare i canestri d'élite friulani. Andò al Banco di Roma, proprietario della squadra capitolina, dove aveva ottime entrature, e si fece dare un certo Larry Wright (fino alla stagione precedente campione d'Italia, d'Europa e del mondo nella città sacra) e pure, come amava ricordarci, Kea e Tombolato "in omaggio". Wright a Udine, chi mastica un po' di basket capisce la portata dell'evento, fa il paio con la "visione" del "presidente" di affidare la panchina della squadra, poi promossa nella massima serie, a un appena 28enne Claudio Bardini. Era il 1986. Come dimenticare la sfida playoff contro la Simac Milano di coach Peterson e Mike D'Antoni? Leggendaria, da brividi. Finito l'impegno dei Fantoni con la palla a spicchi, ecco l'ultimo regalo di Cainero ai tifosi del Carnera: la stagione dell'Emmezeta, sponsor trovato grazie a un altro fortunato sodalizio con un imprenditore friulano: Maurizio Zamparini. Chiedimi quanti soldi vuoi e te li do, gli disse. Per decenni, fino a quando l'imprenditore di Sedegliano, scomparso quasi un anno fa, scelse l'impegno nel calcio a Palermo, la collaborazione fu proficua. Primo capitolo: estate 1989. L'accoppiata imprenditore-commercialista tratta l'Udinese, che la famiglia Pozzo dopo tre anni di ascensore dalla A alla B non certo edificanti, pareva disposta a vendere. Era tutto fatto, per una notte l'Udinese passa nelle mani di Zamparini e Cainero, poi Pozzo cambia idea appena prima della firma dal notaio. Questioni tra DC e i socialisti di Ferruccio Saro si disse. I successi degli anni successivi hanno dato ragione al dietrofront del Paròn, ma Cainero la digerisce, ma anche su questo torneremo.Niente Udinese? Ecco allora l'avventura nel Venezia Calcio, a inizio anni '90. Zamparini presidente, spesso mangi-allenatori, Cainero amministratore delegato, e un certo Beppe Marotta, ora ai vertici dell'Inter, direttore sportivo rampante. La cosa più difficile? Licenziare allenatori come Spalletti, Zaccheroni, Novellino, tutti diventati amici di Enzo, indimenticabile la salvezza con Recoba arrivato dall'Inter in prestito e Doge in laguna per sei mesi. Alla fine del decennio, Zamparini decide di mollare il Venezia, semplicemente perché accanto all'aeroporto non gli lasciano costruire il nuovo stadio. Avevamo il progetto, tetto retraibile, era tutto fatto, ma la burocrazia..., ci ricordava sempre. Quello che ha sempre contaddistinto l'esistenza di Enzo Cainero è stato l'entusiasmo con cui intraprendeva nuove avventure. Sul lavoro e nello sport, come organizzazione di eventi.Lasciato Zamparini all'avventura di Palermo ecco un altro grande capitolo aperto dal vulcanico commercialista di Cavalicco, ufficiale di complemento degli alpini e con la penna nera idealmente sempre in testa al comando delle sue "truppe". Come tutti gli alpini, Cainero è stato l'uomo del fare. E qui arrivano le magiche cartelline vergate a mano. Andavi negli ultimi anni nel suo studio di Largo dei Cappuccini a Udine e ti si apriva un mondo. Scriveva tutto a mano, ricordava tutto a memoria. Conti, date, numeri di telefono. Vero, si è arreso ai messaggi sms, ha "martirizzato" la povera segretaria Anna dettando a destra e a manca, a ministri piuttosto che sindaci della Carnia o delle Valli, interminabili e cortesissime mail. Solo ai messaggi whatsapp non si è arreso e nemmeno ai social. Ma era sul punto di capitolare, anche lì. Primo evento legato al ciclismo, fine anni '90: Tricolori master di ciclocross a Buja, la terra del ciclismo friulano, e via sul grande carrozzone con altri due grandi amici come gli imprenditori Ivano Fanzutto e Paolo De Luca. Cainero, appassionato di ciclismo fin da bambino quando il padre lo portava sulle Dolomiti a incitare il compaesano professionista al Giro d'Italia, accetta di guidare la Lega del ciclismo professionistico. L'esperienza nel Venezia Calcio l'ha fatto conoscere. Sono gli anni bui del ciclismo, quelli del doping a tutto Epo, c'è da tenere la barra dritta. Cainero entra con professionalità e decisione in un mondo nuovo, conosce quelli che saranno compagni di viaggio fondamentali come l'attuale direttore del Giro d'Italia, Mauro Vegni, e l'ex di due Parigi-Roubaix e cittì della Nazionale, Franco Ballerini, tragicamente scomparso nel 2010 e con il quale adesso, statene certi, lassù starà già pianificando nuove tappe della corsa rosa.Di cartelline, ne ha consumate tante Enzo, dai campionati italiani di ciclismo del 2000, organizzati in tutto il Friuli e con gran finale a Trieste. In vent'anni, grazie a lui e al suo staff, da queste parti - prima toccate dalla corsa rosa tre-quattro volte a decennio se andava bene -, sono arrivate o partite ventitre, sottolineamo ventitre, frazioni del Giro d'Italia, con la perla dello Zoncolan che ha dato a questa regione visibilità mondiale.È vero, il cruccio di Cainero era quel gran rifiuto del Crostis, il dirimpettaio del "Kaiser della Carnia", nel maggio 2011, che considerava un'ingiustizia subita dalla sua gente. Nonostante questo, ogni volta rilanciava, scrivendo tutto su quelle cartelline. Rigorosamente col pennarello blu. Piancavallo, Montasio, Gemona - la tappa nell'anniversario del terremoto nel 2006 - Grado, Udine, Gorizia, Sacile, Maniago, Cave del Predil, Erto e Casso, Tolmezzo, San Daniele, Castelmonte, Cividale, San Vito al Tagliamento. E qualcosa che prima di lui e di quelle sue magiche cartelline era letteralmente inimmaginabile: la partenza di una tappa del Giro d'Italia dalla base delle Frecce Tricolori di Rivolto, altra sua grande passione. Nell'edizione più difficile, quella del Covid nell'ottobre 2020. Alla guida del suo staff, dei vari comitati tappa, della sua gente Cainero si sentiva a casa, nel suo luogo ideale. Quasi sempre con quella camicia rosa che portava con orgoglio, quasi fosse la divisa da ufficiale di complemento degli alpini. Cainero ha portato il Giro in ogni angolo di Friuli, in ogni paesino, su decine di salite. Era orgoglioso di aver fatto riscoprire al mondo la Carnia, le Valli del Natisone, quelle del Torre, la montagna del pordenonese, dove non a caso in diversi Comuni è diventato cittadino onorario. Sarà ricordato per questo per sempre. Ha scritto con la sua passione e le sue visioni un grande pezzo di storia di questa terra. Giro d'Italia, ma anche Universiadi di Tarvisio, esattamente vent'anni fa e ancora il match amichevole di rugby tra Italia e Sud Africa allo Stadio Friuli nel 2009 e il progetto "Gemona città dello sport e del Benstare" con i testimonial Oscar Pistorius, e relative "grane", e Wayde Van Niekerk, un altro dei suo "figli".E poi il supporto, immancabile, alla nipote Chiara. Cera Enzo col fratello Eddy a Pechino 2008 per l'oro della tiratrice, così come a Rio 2016 o nelle altre avventure olimpiche. Perché ai Giochi l'immancabile viaggio, col solito gruppo di fedelissimi, non poteva mancare da vero uomo di sport. E la politica? Consigliere comunale a Udine negli anni '80, tirato innumerevoli volte per la giacchett